di Furio Zara (Articolo originale sul numero di Settembre 2017 del Guerin Sportivo)
Gli specialisti dei calci piazzati sono merce rara e preziosa. Al Milan è appena arrivato Çalhanoglu che in Bundesliga dal 2013 ne ha trasformati ben 11 in gol, uno in più di Pjanic (il più bravo nel nostro campionato) e di un certo Messi…
In fondo si tratta solo – solo? – di scegliere la via migliore. Non la più breve o la più comoda: la migliore. Tirare una punizione è come avere un Gps tra le mani. Devi andare da qui a là. Se vai dritto e c’è traffico vedi alla voce barriera allora scegli un altro percorso. AAA: cercasi spiragli di luce. E comunque: il segreto non è pensare: ora faccio gol. Il segreto è avere già tutto in testa. E prima ancora di calciare – prima – sapere che sarà gol. E’ una pratica orientale: riempirsi di vuoto, e là dentro trovare se stessi.
Specialisti merce rara
L’arte di calciare le punizioni è al 10% ispirazione, al 90% sudorazione, nel senso di fatica, sacricio quotidiano, allenamento, prova e riprova, una, due, dieci, cento volte. Una punizione porta punti, i punti servono per vincere, se vinci aumenta il conto in banca, tuo e del club per cui giochi. Per questo gli specialisti sono merce rara e preziosa. Uno se l’è assicurato questa estate il Milan. Hakan Çalhanoglu, 23 anni, turco di passaporto tedesco. In Bundesliga – tra Amburgo e Bayer Leverkusen – dal 2013 a oggi ha segnato su punizione più gol di tutti nei top-5 campionati europei: 11 centri (ma nessuno l’anno scorso), dietro di lui Messi e Pjanic con 10. Çalhanoglu è un mago, più è difficile e più lui ci prova, si presentò al debutto con l’Amburg segnando proprio su punizione. Cliccatissimo un suo gol contro il Borussia Dortmund, dalla ragguardevole distanza di 42 metri: quando calciò, da lì in fondo, si sentì l’eco per tutta la valle. Il miglior specialista – attualmente – della serie A è Miralem Pjanic. E’ uno dei pochi che, con la palla sulla linea dell’area, in uno spazio compresso, riesce a fare gol. Il centrocampista della Juve ha confessato che – mentre il portiere sistema la barriera – lui fissa il punto di luce che si viene a creare e mira lì.
L’evoluzione
In inglese: free kick. In spagnolo: tiro libre o golpe. In portoghese: cobranca. Da noi: calcio di punizione. Lo dice la parola stessa: punizione. Infliggere una pena, un castigo. Cos’altro erano le «maledette» di Pirlo? Per dovere di cronaca: il copyright sulla «maledetta» ce l’ha Juninho Pernambucano, brasiliano che con il Lione qualche anno fa sembrava il bullo al tiro al bersaglio delle giostre. Ogni punizione, una fucilata. E cascava sempre un orsetto. E in fondo anche le parabole dal micidiale effetto di Juninho non erano altro che l’evoluzione della «Foglia morta» di Mariolino Corso, il «piede sinistro di Dio» che ricamava calcio nell’Inter di Herrera negli anni ’60. Questo per dire che nulla si inventa, tutto si evolve. Ha spiegato Andrea Pirlo nella sua autobiografia: «…il piede va tenuto il più dritto possibile e poi rilasciato con un colpo secco…». Come un colpo di ping pong, se avete presente.
Modalità espressive
Appunto: come si calcia una punizione? Ognuno ha un modo suo. Cristiano Ronaldo si mette perpendicolare al pallone, è un toro che sbuffa prima di incornare, le gambe aperte, aria di sfida, bullaggine allo stato puro, la rincorsa è medio-lunga, il tiro è effettuato con l’interno collo del piede, spesso dritto per dritto. Messi calcia – di sinistro ovviamente – da destra, due passi di rincorsa, al terzo l’impatto, pallone nel sette, di qua o di là, cambia poco. Bale ha affidanato la tecnica, la forza d’urto c’era già. Il sinistro di Dybala è più uncinato, preciso e potente, della serie: «sta mano po’ esse fero e po’ esse piuma»; il neo juventino Bernardeschi ha nel curriculum il gol capolavoro da viola contro il Borussia Dortmund. Da tenere d’occhio Verdi. A Bologna hanno apprezzato la sua unicità: è ambidestro. Il neo-spallino Viviani, si può dire, segna solo su punizione. Rincorsa brevissima, piattone secco e angolato. L’88% dei gol della sua carriera li ha segnati così. Il piede dolce di Ljajic disegna traiettorie imprevedibili, a Milano – sponda rossonera – ci provano anche Biglia e Bonaventura, Borriello ha cominciato a tirare le punizioni dopo i trent’anni (e ci sta riuscendo bene), Mertens quest’anno si è specializzato (gol contro Bologna e Udinese), Berardi non ha ancora trovato una sua cifra stilistica, ma il talento gli consente di sperimentare.
A breve giro di perfezione
La punizione stilisticamente perfetta è quella a giro, calciata con l’interno collo, colpendo il pallone nella parte bassa. Lo è perché è gravida di attesa. E di speranza. Porta con sè una promessa di felicità, che quando si esaudisce è roba da pelle d’oca. Se riesce l’effetto sarà quello di una parabola, a scavalcare la barriera. Zico le calciava così, ed era uno spettacolo: la sua genialità era dare ordine e pulizia alle cose, le punizioni erano il suo modo di farlo. Baggio – che con il mito di Zico era cresciuto – nei campi di Caldogno lo copiava, facendosi l’auto-telecronaca: il Codino sembrava tirasse il pallone con le mani. Ne ha fatti 19 in serie A, gli stessi di un altro specialista: Zola. Fondamentale è la curvatura del busto. Platini partiva sempre mani sui fianchi, poi appunto curvava il busto, accompagnando il pallone con lo sguardo. L’impatto piede-palla di Beckham è stato quanto di più vicino alla perfezione negli ultimi vent’anni: era simile all’ultimo bacio alla fine dell’estate, era un delitto staccarsi.
Ripasso di storia
Le punizioni di Corso, a «Foglia morta», erano poesie di Prevert, tutte baci e carezze e smancerie. Roberto Dinamite e Di Bartolomei calciavano di potenza, dopo una rincorsa ampia; così in tempi più recenti, «battevano» Gerrard e Lampard. Il segreto di Branco erano le «tre dita», le ultime del piede sinistro con cui colpiva il pallone – rigorosamente – all’altezza della valvola. Roberto Carlos era un mix di potenza e precisione. Andate a rivedere su youtube la punizione del «nano armonico» nell’amichevole Brasile-Francia del ’97. A un certo punto il pallone esce dal teleschermo, poi irridente rientra. Mihajlovic è stato il recordman in serie A: ne ha segnate 28, in tutti i modi. Le punizioni di Totti erano un riassunto di qualità e potenza. C’è chi vive di rendita per anni: dell’ex laziale Candreva si ricorda sempre il bolide su punizione nel derby. Adriano si rivelò al mondo con una punizione, invero stratosferica, in un’amichevole estiva dell’Inter al Bernabeu. Batistuta era di quelli da una botta e via, così ci togliamo il pensiero. Del Piero (22 in A), Chiesa, Corini, Palanca: tutti grandi tiratori. Recoba, che alternava l’uncinata a giro alla staffilata secca – cercava nel pubblico lo sguardo di sua moglie e quella era la sua fonte di ispirazione.
La punizione impossibile
In un pomeriggio del lontano 1985 Diego Armando Maradona segnò la più improbabile delle punizioni, da posizione decentrata, dentro l’area di rigore, a meno di otto metri dalla porta, con la barriera schierata a difesa del portiere e nessuna speranza di farcela. Era un Napoli-Juventus. Lo vedemmo disegnare con il piede sinistro un aquilone e smontare tutte le leggi della fisica, sbeffeggiare quelle dinamica e fare mara- mao al principio di gravitazione universale. A ripensarci, il cuore ancora palpita. Domanda finale: come si calcia una punizione? Risposta: si calcia meglio che si può, il resto sono frottole.
LE TRIPLETTE DI SIGNORI E MIHAJLOVIC
Tre in un colpo solo. Tre punizioni segnate in una sola partita. In serie A ci sono riusciti in due. Per primo citiamo Sinisa Mihajlovic, perché erano tutte punizioni dirette, di prima. La partita si giocò all’Olimpico, Lazio-Sampdoria. 13 dicembre 1998. I minuti: 29’pt, 45’pt, 7’st. Il portiere avversario era Ferron. Ogni volta, dalla curva dell’Olimpico si alzava il coro. Ohhhhhh. Pim-pum-pam. Tripletta. Finì 5-2 per la Lazio. La sconfitta costò il posto a Spalletti, che all’epoca allenava la Sampdoria. I segreti di Sinisa: piede piccolo, 42 e mezzo, calzino personalizzato sul sinistro, guardare il portiere fino all’ultimo passo, come si fa calciando un rigore. Quello di Mihajlovic è un record che dura da quasi vent’anni.
Prima di lui, in realtà, tre gol su punizione nella stessa partita li aveva segnati un altro laziale, Beppe Signori. 10 aprile 1994. Lazio-Atalanta 3-1. Occhio: ancora una volta lo scenario è l’Olimpico. Tutti i gol nella ripresa. Minuti: 21’st, 31’st e 47’st, in pieno recupero. Per due volte, a porgergli il pallone fu Sclosa. La terza, diretta, la piazzò all’incrocio dei pali. Il portiere si chiamava Pinato. In tribuna c’era Arrigo Sacchi, ct della nazionale che un paio di mesi dopo avrebbe cominciato il Mondiale ’94 negli Usa, perdendo la finale contro il Brasile: rigore di Baggio, nel cielo di cartapesta del Rose Bowl di Pasadena.