Emanuele Gamba. Il caso: Poche grandi parate e tanti svarioni: anche così si spiega il Mondiale senza 0-0. Un ruolo in crisi, 4 anni dopo un’edizione che fece scoprire nuovi campioni
Papere parecchie, paratone poche: non è un Mondiale per portieri, se non abbiamo ancora visto neanche uno 0-0 un poco dipende dal fatto che non ci sono stati degli estremi difensori, come si diceva una volta, immacolati. All’occhio stanno saltando gli svarioni, alcuni incredibili, come se la finale di Champions di Karius avesse fatto tendenza: la saponetta con cui Ronaldo ha fregato De Gea in Spagna-Portogallo, la passeggiata a centrocampo di Szczesny mentre Niang segnava a porta vuota in Polonia-Senegal e il goffissimo assist di Caballero a Rebic in Argentina-Croazia sono stati momenti di grande imbarazzo per una categoria arrivata in Russia con un sacco di problemi, forse perché due tra i più forti al mondo, Oblak e Buffon, non ci sono.
L’Inghilterra ha scelto il titolare (Pickford, erede del giubilato Hart) solo alla vigilia e ancora non si sa quale sia la pasta di questa scelta, visto che Tunisia e Panama non hanno fornito riscontri; De Gea ha polemizzato con il premier Sanchez interrompendo, e subito riprendendo, un silenzio di due anni con la stampa spagnola; l’infortunio dell’argentino Romero ha aperto la strada all’impresentabile Caballero (ma la prossima la giocherà la riserva della riserva, Armani); Neuer ha saltato quasi l’intera stagione per infortunio ed è qui con tutte le incognite del caso, anche se contro la Svezia è stato determinante. La storia più drammatica riguarda Carl Ikeme, che avrebbe dovuto essere il titolare della Nigeria e invece lotta contro la leucemia: l’altro giorno gli islandesi gli hanno dedicato un pensiero, facendosi fotografare raggruppati attorno alla sua maglia. L’australiano Vukovic è stato invece in ansia per suo figlio Harley, che adesso ha tre anni e ha dovuto essere sottoposto a un trapianto di fegato.
All of us in @footballiceland are with you @Carl_Ikeme 👊🏻❤ pic.twitter.com/LMy4fumDj5
— Jon Dadi Bodvarsson (@jondadi) 17 giugno 2018
Dei grandi l’unico che si sta distinguendo è Keylor Navas, che ha contenuto con una serie di prodezze i danni del Costarica, dove è considerato alla stregua di un padre della patria. Alisson e Courtois non hanno avuto molto da fare, come Lloris. Sempre affidabile Rui Patricio, però nessuno si è stagliato, anche se una menzione la meritano lo svizzero Sommer, eccellente contro il Brasile, e soprattutto l’iraniano Beiranvand, ex pastore, ex ambulante, ex dipendente di un autolavaggio, tra tutti il più sorprendente, il rigore parato a Ronaldo conferma quanto sia bravo: nel volto somiglia a Pazzagli, nel fisico e nello stile a Donnarumma. È l’unica rivelazione in circolazione assieme al diciannovenne nigeriano Uzoho, tecnica approssimativa, mezzi interessanti, un’età che gli consente ancora tutto.
Il Brasile, quattro anni fa, fu una straordinaria vetrina per i portieri centro e sudamericani. Fu fortissimo Romero, che veniva da una stagione da riserva al Monaco, ne fece un’altra da riserva alla Sampdoria e poi diventò riserva al Manchester United, mentre grazie a un torneo strepitoso Navas si meritò il Real, Bravo (Cile) il Barcellona, Ospina (Colombia) l’Arsenal e il messicano Ochoa, nel suo piccolo, il Malaga. Fu anche il Mondiale dell’olandese Krul, che Van Gaal fece entrare all’ultimo secondo dei tempi supplementari nel quarto di finale con il Costarica solo per parare i rigori. Ne fermò due.
La Russia non ispira miracoli. È come se mancasse il fuoriclasse che scatena l’emulazione, il confronto, la sfida, in compenso resistono i soliti pasticci dei portieri senza scuola. L’Arabia li ha fatti giocare tutti e tre, e soltanto l’ultimo, Al-Mosailem, non ha combinato disastri. Maluccio il coreano Jo e il giapponese Kawashima, che pure ha un solido curriculum europeo (ma a Metz ha fatto una stagione disastrosa), così come il senegalese Ndiaye, che gioca nel campionato della Guinea: speravamo lasciasse il posto al cuneese Gomis, un poco più affidabile. Peccato.
El Hadary, la felicità arriva a 45 anni
L’Egitto ha perso anche l’ultima ma lui, Essam El Hadary, forse non se ne ricorderà nemmeno. Il Mondo invece si ricorderà di lui, diventato a 45 anni, 5 mesi e 10 giorni il calciatore più anziano a giocare una partita del Mondiale. Debuttando contro l’Arabia Saudita ha cancellato dopo 4 anni appena il record di un altro portiere, il colombiano Mondragón, di 2 anni più giovane. Ma El Hadary aveva tempo da recuperare e un cerchio da chiudere: di fare il calciatore lo decise solo a 16 anni, guardando il gol con cui nell’89 Hassam qualificò per i Mondiali italiani l’Egitto. Il padre Kamal voleva studiasse e arrivò a bruciargli la divisa col n.1, per dissuaderlo. Lui però si ostinava a parare: portando il piccolo Damietta in serie A, diventando il primo portiere di B a giocare con l’Egitto e meritando la chiamata dell’Al Ahly, per ereditare la maglia dell’idolo Shobair. Poi 26 titoli, 4 Coppe d’Africa e un trasferimento al Sion sfruttando l’art. 17 della Fifa, con squalifica di 4 mesi per irregolarità. Soprattutto, 159 partite con l’Egitto. Difenderne la porta al Mondiale, parando pure il rigore di Al Muwallad, chiude un cerchio. Smettere? «Lo farà – dicono i suoi amici – appena il figlio potrà prendere il suo posto».