di Claudio Filippi e Daniele Borri
Allenare i portieri a opporsi ai colpi di testa avversari, riproducendo quanto accade in gara è abbastanza complesso. Ci viene in soccorso uno strumento da campo, lo scudo appunto, utile a tale scopo.
Stade de France, zona nord di Parigi, 12 luglio 1998. Sono passati 27 minuti dall’inizio della finale di Coppa del Mondo che vede il Brasile, detentore del titolo, affrontare i padroni di casa della Francia. I transalpini sono all’attacco e conquistano un corner. I brasiliani si chiudono in difesa, difendendo la porta di Taffarel con ben nove giocatori dentro l’area. Il calcio d’angolo battuto da Emmanuel Petit, finisce sulla testa di Zinedine Zidane, che svetta su tutti e insacca. La stessa scena, con l’identico protagonista, si ripete alla fine del primo tempo: è il 2-0 per l’unitici di Aimè Jacquet. Il Brasile è alle corde, non riesce a reagire, nonostante la superiorità numerica di cui godrà dal 68’ per l’espulsione di Marcel Desailly. Anzi, allo scadere del secondo tempo in contropiede, Petit siglerà il terzo gol. Veniamo dunque all’argomento. Veniamo ai colpi di testa di Zidane. Che dimostrano senza ombra di dubbio che il calcio non si gioca solo coi piedi, ma richiede la capacità di eseguire altri gesti ai quali i portieri devono sapersi opporre.
Il muro verso la palla
Dall’analisi del gioco si nota come in una partita, mediamente, un buon 10% dei palloni giocati sia colpito di testa (Ludwig&Guerriero, 2011) e i duelli aerei avvengono tra attaccanti e difensori di statura notevole. Il colpo di testa, quindi, è sicuramente un gesto che si verifica spesso durante la partita e – considerando che “l’allenamento e la partita devono essere intesi come due settori, uno di insegnamento, l’altro applicativo, che si condizionano reciprocamente” (Filippi, 2006) – riteniamo determinante, se non indispensabile, allenare il portiere a controllare i “tiri di testa”. In questo modo potremmo riprodurre situazioni che, per tempi e tipologia, ricostruiscano il più verosimilmente possibile quanto accade in gara. Parare un colpo di testa è sempre stato abbastanza complesso e in questo caso ci viene in aiuto la lettura del libro “La scienza nel pallone. I segreti del calcio svelati con la fisica” (Ludwing&Gurriero, 2011), in cui si dice: “Quando l’attaccante colpisce di testa la palla, si verifica un urto tra due corpi all’incirca sferici e di dimensioni simili: il pallone, un corpo molto elastico vuoto, e la testa del calciatore, un corpo pressoché rigido e – almeno dal punto di vista fisico – pieno”. L’effetto che si crea è “quello di una palla di gomma lanciata contro muro” perché… “la testa pesa circa 10 volte più del pallone” (un esempio nella foto con Vidal).
“Se il calciatore tiene ferma la testa, la palla rimbalzerà con velocità uguale a quella che aveva prima dell’urto”: questo è ciò che succede quando un giocatore “fa la sponda” per un compagno. In genere, però, la testa si muove verso la palla e questa, dopo l’urto, sarà più veloce. Perciò, i colpi di testa più efficaci sono quelli effettuati in corso o addirittura in tuffo. E se torniamo all’analogia precedente, possiamo dire che è come se il muro si muovesse verso verso la palla. Sebbene esistano dispersione di energia dovute alla non perfetta elasticità del pallone e alla deformabilità della pelle delle ossa (che non sono veramente rigide), calibrando bene velocità e tensione muscolare del collo, si possono ottenere conclusione di testa molto pericolose, con una velocità che può raggiungere quasi il doppio di quella relativa tra palla e testa al momento dell’impatto.
Lo scudo (Filippi Shield)
Partendo da questi presupposti, si capisce come sia utile, per il portiere, prepararsi in esercitazioni con l’intervento di attaccanti per ricreare appunto situazioni simili alla partita. Allo stesso modo, però, è poco realistico pensare di far colpire la palla di testa per un numero sufficiente di ripetizioni tali da allenare tre o quattro portieri. Tra l’altro, un elevato numero di ripetizioni farebbe scadere la qualità delle esecuzioni stesse sia per intensità sia per precisione. Come possiamo, quindi, allenare i nostri portieri a contrastare le giocate di testa mantenendo comunque una buona qualità nella proposta? La soluzione viene data da uno strumento ausiliare. Infatti, le attrezzature da utilizzare sul terreno di gioco devono avere la funzione di aiutarci a sviluppare allenamenti che abbino una stretta familiarità con il gioco e salvaguardare l’apparato locomotore, sottoposto a continui stress giorno dopo giorno. In questi ultimi anni, a tal proposito, abbiamo adottato un deviatore manuale, denominato scudo, per la fattezze l’impugnatura, che per la sua maneggevolezza del materiale con cui è costruito risponde alle nostre esigenze (come si può notare nella foto di copertina).
Come in partita
Per queste ragioni fisiche e applicative, l’utilizzo dello scudo riproduce più similmente quanto accade nella realtà rispetto ai classici deviatori a rete elastica. Infatti, se facessimo dei fotogrammi a un pallone che impatta su una rete elastica, vedremo che la sfera, prima di essere deviata, deformerà la rete per poi uscire dall’impatto con questa con una velocità più bassa rispetto a quella posseduta prima dell’urto. Il tutto con un leggerissimo tempo di latenza (istante tra impatto deviazione) dovuto al deformarsi della rete. Utilizzando lo scudo, invece la deformazione dello stesso sarà minima, proprio come descritto da Ludwing&Guerrero. Il pallone si deformerà al momento del contatto con la superficie dello scudo per poi uscire a una velocità pari o superiore a quella posseduta precedentemente. A corredo dell’articolo vi riportiamo alcune esercitazioni, nate appunto dall’osservazione delle partite, in cui è possibile sfruttare lo scudo per allenare il portiere a risolvere situazioni da colpo di testa.
Ha senso usare lo scudo coi giovani portieri?
Riteniamo che sia importante usare il buonsenso. Non è utile utilizzare lo scudo se i portieri con cui operiamo non sono in grado di eseguire correttamente gli spostamenti, la tecnica di parata o di attacco della palla. Quindi, lo scudo è uno strumento efficace per l’allenamento giovanile solamente se sono stati consolidati in buona parte gli aspetti tecnici e coordinativi. A livello didattico, è opportuno dedicare attenzione di più alla tecnica analitica e a quella applicata, senza agire in modo preponderante nel lavoro situazionale, in particolar modo se non si hanno solide fondamenta per poterlo affrontare o risolvere correttamente.
Le esercitazioni
Prima proposta: il portiere è tre pali come se dovesse ricevere un tiro dall’assistente (blu). Questo calcia la palla (al volo) verso il mister che, a sua Volta, la devia in porta con lo scudo per segnare. Il numero uno, al momento del calcio dell’assistente, deve eseguire uno spostamento, frenare al momento dell’impatto della palla con lo scudo per parare (figura 1). Varianti: il mister può decidere di non indirizzare la palla direttamente in porta, ma smorzarla obbligando il portiere a un’uscita in avanti in tuffo; oppure può “impennarla” costringendo la uscita alta (figura 2).
Seconda proposta: in tale esercizio si utilizza anche una sagoma e sono previste numerose varianti. Infatti, l’allenatore può deviare il pallone prima o dopo la sagoma e lo stesso può essere intercettato, oltre che dal portiere, anche dalle sagome e determinare una nuova azione che il numero uno dovrà risolvere (figura 3).
Terza proposta: si tratta di un’esercitazione con cross dal fondo e a presenza di quattro sagome in prossimità dell’area di porta. Il portiere, non potendo uscire in presa alta, esegue un arretramento e S’, dopo un rapido arresto, deve parare il pallone colpito dall’allenatore con lo scudo (figura 4).