Di Alberto Polverosi
Da “ultimo baluardo” a giocatore che partecipa all’azione della squadra: così è cambiato il ruolo del portiere
Durante una delle ultime interviste, al museo del calcio di Coverciano, Giuliano Sarti si alzò dalla poltrona dov’era seduto e si mise in un angolo della sala. «Vuoi vedere come deve mettersi un portiere geometrico?». Tracciò una porta ideale e indicò un punto, anche questo ideale, dove c’era il pallone col tiratore. «Il portiere si deve sempre girare dalla parte di chi sta per calciare. E deve conservare sempre la distanza giusta dal tiratore. Quando la palla è a due metri dall’area di rigore, se il portiere sta sulla linea di porta il pallone gli morirà in mano, come succede a Buffon. Se invece sta fra la linea di porta e il dischetto del rigore, perché tanti dicono che così possono controllare meglio la situazione, rischiano che il pallone muoia oltre loro stessi, in rete. Oggi i portieri si dividono in due categorie, i geometrici e i reattivi. Buffon e Handanovic sono geometrici, mentre Reina è una via di mezzo».
LA TRASFORMAZIONE. Sarti è stato il primo grande portiere italiano del Dopoguerra. Ha vinto tutto negli anni Sessanta, con la Fiorentina e con l’Inter. Cambiò un’epoca: prima di lui, prima del suo pensiero di portiere, quel ruolo era tutto istinto, le concessioni alle parate spettacolari, spesso ad uso e consumo del pubblico, erano frequenti. Negli anni precedenti, all’Inter, fra i pali c’era Giorgio Ghezzi, che chiamavano “kamikaze”. E alla Fiorentina aveva un vice che giocava in Nazionale e che dava spettacolo in porta: Enrico Albertosi. Ma che con Sarti fosse iniziata la trasformazione glielo disse un giorno anche un maestro come Fulvio Bernardini: “Lei è il futuro dei portieri”. Per caratteristiche e freddezza, Zoff è stato il suo erede. Sarti giocava di più per la squadra, quando la palla era lontana dalla sua porta lui saliva oltre il dischetto del rigore, un’eresia a quei tempi. Sarebbe stato il portiere ideale di Zeman. Zoff no. Zoff aveva sintetizzato la migliore qualità fra i pali: la posizione. Con Dino, il ruolo del portiere aveva assunto una dimensione carismatica che prima non aveva. Capitano della Juve, capitano della Nazionale campione del mondo, il rispetto per Zoff (dato e ricevuto) era tutto. Non erano le grandi parate (che pure non sono mancate: una su tutte quella sul colpo di testa di Oscar in Italia-Brasile 3-2 del Mondiale ‘82) a stabilire la grandezza del friulano, ma la sua regolarità, la sua normalità in un ruolo che di normale, di banale, non può avere niente.
L’EVOLUZIONE. Dopo Zoff arrivarono i portieri di Sacchi, che avevano compiti anche diversi. «Arrigo non pretendeva che fosse il portiere a iniziare l’azione, però voleva che giocasse con la linea dei difensori: se loro salivano, saliva anche lui», racconta Giovanni Galli. E all’inizio degli anni ‘90 ecco Buffon, il numero uno della nostra scuola, oltre a tutti. Buffon è stato un’evoluzione lui stesso, a Parma era istinto, alla Juve è diventato ragionamento. Ha parato seguendo l’età. E’ stato nel suo periodo che il ruolo del portiere ha ricevuto la condanna del regolamento: passaggio indietro da controllare solo con i piedi ed espulsione in caso di atterramento dell’attaccante, regola applicata per anni e che oggi si è molto attenuata. Gigi si era ribellato qualche tempo fa: «Nei primi 10 anni della mia carriera ero considerato uno dei migliori in queste uscite, per come prendevo la palla dai piedi dell’attaccante. Ora non lo faccio più, non esco più, troppi rischi». Mentre Buffon si imponeva, in Catalogna nasceva il portiere del… possesso palla. La moda ha contagiato anche gli italiani, così tutti i portieri devono iniziare l’azione. E nonostante l’antidoto fosse stato trovato in fretta (pressione sul primo lanciatore e poi sul portiere), si doveva comunque partire da lì con un passaggio o un lancio. Se il lancio lo fa Reina, bene, benissimo, se lo fanno altri va meno bene. Gigi è ancora oggi il numero 1, Donnarumma per raggiungerlo deve lavorare. Ma l’evoluzione della specie continua.
Facciamo un viaggio nel tempo con lo storico collaboratore di Ranieri che ci racconta com’è cambiato il tipo di allenamento di un portiere
Il portiere è lì trai pali, nessuno lo smuove. E nessuno lo farà mai nel corso degli anni (chissà…). E fin qui ci siamo. Ma quanto è cambiato il suo ruolo nel tempo? Tanto. Tantissimo. In tutto e per tutto. Dal modo di stare in campo no alla preparazione: «Oggi ci si può confrontare sicuramente con più mezzi a disposizione di quando giocavamo noi – racconta Giorgio Pellizzaro, portiere degli Anni ’80 e storico collaboratore di Ranieri – c’è la tecnologia che ha dato una grande mano alla preparazione dei portieri e nello studio degli avversari, e in più sono cambiate le regole». Nuove regole, nuovi allenamenti: «Una volta si poteva prendere la palla con le mani dopo un passaggio all’indietro, oggi invece ci si allena molto sulla tecnica con i piedi. In questo modo il portiere partecipa al gioco, prima era più isolato». Ma c’è chi esagera: «Addirittura molti allenatori prima chiedono se un portiere sia forte con i piedi, poi se sia bravo a parare». Non benissimo: «Così si rischia di snaturare il ruolo e la figura».
IL SEGRETO. Pellizzaro ha giocato in tante squadre tra serie A e B, trovando sempre una costante: «A noi non ci allenavano, ci bombardavano». Cioè? «I nostri preparatori all’epoca si limitavano a tirare continuamente in porta senza insegnarci la tecnica e farci lavorare su determinate caratteristiche. Oggi è tutto diverso». Perché c’è la tecnologia ma anche l’esperienza, e quella si accumula con il tempo. Venticinque anni ad allenare portieri, insieme a Ranieri ha girato mezza Europa: «Ultimamente all’estero la qualità dei portieri sta migliorando. Tranne che in Inghilterra, lì sono rimasti come erano 50 anni fa». Il segreto è un altro: «E’ fondamentale aggiornarsi ed evolversi, bisogna sempre stare a passo con i tempi. Il ruolo del portiere cambia nel tempo, quindi deve cambiare anche il modo di allenarlo». In Francia l’hanno capito: «Ci sono portieri discreti, il più forte è Lloris. La Spagna ha avuto un periodo di crisi perché c’erano tanti argentini che non erano un granché».
IL CAMBIAMENTO. Preparatore umile Pellizzaro, nonostante la sua grande esperienza: «Io nel mio lavoro mi sono adeguato alla modernità cercando di vederla come un’opportunità da sfruttare. E poi si impara anche dai portieri che si allenano. Ognuno ha una scuola e una storia sua, da tutti si può apprendere». Da tenere a mente: «A me ad esempio i portieri brasiliani hanno insegnato qualcosa in più. Io lavoravo con le mie conoscenze sul fisico e sulla tecnica, oggi ci si allena molto di più sulle situazioni di gioco». Anche perché ormai è inutile allenare il fisico: «Oggi i portieri sono dei giganti. Mi avrebbero scartato subito, perché se non sei almeno un metro e 90 non ti considerano nemmeno».
IN NAZIONALE. Nel 2014 l’esperienza con la nazionale greca: «Per me è cambiato poco a livello di preparazione, perché ho allenato i portieri esattamente come facevo con le squadre di club. Il problema era quando bisognava allenare i giocatori c’era chi era infortunato, chi era stanco… A fatica, ma neanche sempre, arrivavamo a 15 giocatori disponibili». Con i portieri sempre lì, ad allenarsi tra i pali.
COME SONO CAMBIATE LE REGOLE. Il portiere è l’unico giocatore che può toccare il pallone con le mani. E fino a qui ci siamo. Ma in quanti sapevano che nel 1871 poteva toccarlo con le mani fino all metà campo? Regola cambiata dopo qualche anno: dal 1913 il portiere può usare le mani soltanto nella propria area di rigore. E’ del 1929 invece la regola che costringe un portiere a rimanere fermo sulla riga di porta durante un rigore. Nel 1936 viene introdotta la regola secondo la quale il portiere deve rinviare il pallone fuori dalla sua area prima di essere toccata da altri giocatori. Dal 1983 il portiere non può fare più di quattro passi con il pallone in mano. E’ del 1992 la regola più importante: il portiere non può prendere la palla con le mani su un retropassaggio di un compagno, e l’anno dopo è stato stabilito che non può prendere con le mani un pallone proveniente da rimessa laterale. Nel 1997 è stata tolta la regola dei quattro passi, un portiere non può tenere la palla in mano per più di sei secondi e durante i rigori gli è concesso muoversi sulla linea di porta. La regola più recente è del 2010: è concesso all’avversario che tira un rigore fare finte, a patto che non arresti la propria corsa inducendo il portiere a tuffarsi da una parte per poi tirare dall’altra.
Giuliano Sarti
«E’ stato un innovatore, a suo modo e forse suo malgrado un rivoluzionario. Era un portiere ri essivo in una generazione dove per i portieri dominava l’istinto. Ragionava su tutto, sul modo di piazzarsi, sulla maniera giusta per aiutare la squadra che difendeva. Non smarriva mai l’equilibrio. Era una specie di architetto, aveva un occhio per tutto e per tutti. Certo, aveva anche lui l’istinto del portiere, aveva l’intuizione, però non sbagliava quasi mai quando la testa prevaleva su tutto il resto. E’ stato un maestro, il capostipite della generazione che sarebbe venuta dopo, la generazione di Dino Zoff».
Dino Zoff
«Se un portiere resta per 15 anni portiere della Nazionale non vuol dire solo che è forte, che è bravo, che è il migliore, vuol dire che ha pure la testa, la forza caratteriale, l’equilibrio per reggere ai livelli più alti per un tempo così lungo. Anche Zoff è stato un portiere che ragionava in campo, non solo fuori. Lo stile era quello della lettura di ogni situazione, del ragionamento, era un ingegnere nel modo in cui guidava la difesa. Mentre Dino stava arrivando al livello più alto, smetteva il più grande portiere di sempre, Gordon Banks, che per caratteristiche era una via di mezzo fra Zoff e Albertosi».
Gianluigi Buffon
«Con Buffon, il ruolo del portiere ha acquistato spazio e importanza. Ai miei tempi, durante il riscaldamento di una partita, il portiere si metteva in un angolo del campo, quasi in disparte. Ora non più. E questo è merito anche di Gigi. Nessun portiere al mondo ha la sua tecnica ed è stato bravo a sopperire a un grande limite, la postura dei piedi che non gli permette di essere velocissimo nelle uscite, nella corsa, sullo stacco. L’altro aspetto straordinario di Gigi è la copertura della porta, al di là della personalità: quando calci nella sua porta, non riesci a vedere un buco libero. E in ne la testa: ogni errore che commette gli scivola addosso».
Gigio Donnarumma
«E’ un prototipo di portiere, è strutturato, trasmette serenità e sicurezza. Ma quando facciamo il paragone con Buffon,
non aiutiamo Donnarumma. Ha 18 anni, deve crescere. Deve imparare a parare con una sola mano, non sempre con tutt’e due. Ha preso dei gol perché vuole arrivare sulla palla con la destra e la sinistra insieme, ma se va su quella palla con una sola mano, guadagna 20 centimetri. E poi quando va a terra: deve imparare a strisciare, altrimenti perde l’attimo decisivo. E’ qualcosa di straordinario, su cui bisogna lavorare perché uno alla… Gigi».