Pubblichiamo l’articolo di Roberto Beccantini “I portieri smontabili nel campionato a più teste” sul Fatto Quotidiano del 03-11-2015.
Un tempo era Zoff. In vetta si alternano Inter, Fiorentina e Roma. I protagonisti dell’alternanza (anche in negativo) sono spesso tra i pali.
In principio fu l’Inter, con cinque vittorie. Poi Fiorentina e Inter. Quindi Fiorentina, senza scorta. Altro giro, altro regalo, altra capolista: la Roma. Fino all’ultima coppia, ancora Inter e ancora Fiorentina. Evviva il mal di testa: aiuta spalmare le emozioni e a distribuire ambizioni da scudetto che, se escludiamo la Roma, nessuno covava.
La lontananza della Juventus contribuisce inoltre ad addolcire le moviole e l’anatomia di questi istanti che, in altri tempi e con altre classifiche, avrebbero agitato il bar sport di Stefano Benni. È singolare che in cima campionato non sia mai salito il Napoli di Sarri, la realtà più croccante di questo scorcio. Fiorentina e Inter 24, Roma 23, Napoli 22: Quattro squadre in due punti. Un anno fa era già tutto finito, oggi tutto deve ancora cominciare. In Germania domina il Bayer, ed è una dittatura così annunciata, così smaccata che lo 0-0 di Francoforte ha commosso scosso persino il cinismo della Merkel. In Francia, gli stivali del Paris Saint-Germain schiacciano i concorrenti come cicche. Gli spagnoli sbadigliano alla luna di fiele di Real e Barcellona, sai che notizia. E in Premier, là dove la crisi del Chelsea ha spinto Mourinho alla più eversiva delle dichiarazioni -nothing to say, niente da dichiarare – il gruppo lo tirano Manchester City e Arsenal, tre punti sopra il fiammeggiante Leicester di Ranieri.
Come pathos, insomma, non si accetto lezioni e non trascurare i portieri. Se ne parla sempre poco. Jonathan Wilson, giornalista inglese, gli ha dedicato un libro che ne percorrere l’evoluzione, “The outsider”. Nel senso che fanno vita, storie e gruppo sè, nella buona come nella cattiva sorte, tra una stretta ai retropassaggi e una pugnalata del fuorigioco. Coscienza acrobatica del Genoa, Perin ha costretto sua maestà Higuain al secondo 0-0 della stagione. Buffon, 37 anni, continua essere il totem della tribù juventina. Si è preso il derby con un paio di zompi pirateschi su Glick e Zappacosta. No che l’arcobaleno di Pogba, la sassata di Bovo e la scivolata di Cuadrado non giustificassero la nobiltà della citazione, ma quei riflessi quei balzi hanno aiutato il claudicante torero a matare un toro che, nelle stracittadine, carica sempre per tutta la corrida meno un minuto. E Handanovic? Lo avevamo lasciato agli sgorbi con i quali aveva spalancato la porta a Ilicic e Kalinic, la notte di Inter-Fiorentina. Ha salvato lo smilzo gruzzolo di Bologna e si è superato contro i solisti del mitra di Garcia. Al contrario di Szczwsny, il portiere polacco della Roma, un tipo che alterna splendori a orrori, come documenta la reazione di mounsier Rudi al gol di sabato, “questo Medel non è mica Neeskens”. In parole povere: alla telefonata del cileno avrei risposto pure io. Nel Napoli, il monopolio delle coccole tocca a Higuain e ai suoi fratelli di reparto. Un cenno, però lo merita anche Pepe Reina. Lo scorso torneo era andato in prestito al Bayern, e Benitez non trovò un’alternativa all’altezza. Alla Lazio, Marchetti ha tradito Pioli. Al Milan, Mihajlovic appena rimosso un veterano come Diego Lopez per lanciare in orbita il bebè Donnarumma, classe 1999. Una cesura che non tutti hanno capito. Meglio così.
A Firenze, Montella ha consegnato a Paolo Sousa uno rumeno, Tatarusanu. Lo preferì al brasiliano Neto, esule alla Juventus. Ripeto: un rumeno. Simbolo palese della globalizzazione del ruolo, e delle scuole che lo plasmano. Da quando è CT della nazionale, Conte ne ha convocati cinque: Buffon, Marchetti, Padelli, Perin, Sirigu. Nel novecento, i portieri erano gli unici insostituibili. Nel 2000, sono diventati smontabili come terzini o mediani qualsiasi. L’uso dei piedi ha affiancato, e talvolta sfrattato, l’uso delle mani. La bacheca del pallone d’oro ne celebra uno, uno solo. Lev Jascin, sovietico, il primo dei ragni neri. Scelse il calcio dopo aver praticato l’hockey su ghiaccio, disciplina che egli affinò il colpo doppio. Non regalava capriole. Era asciutto, compatto. Il nostro Jascin è stato Zoff.