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Il rigore inventato dal portiere

Rigore

di Andrea Schianchi (Corriere dello sport 23.05-2021)

Il calcio di rigore ha ispirato scrittori e deciso mondiali liberando la fantasia.

Il poeta spagnolo Canino José Cela lo ha definito «fa pena di morte del i calcio. Lo scrittore Osvaldo Soriano ci imbasti sopra una delle più belle storie di letteratura legate al pallone “iI rigore più lungo del mondo”. Un tiro che dura una settimana intera, perché il tremendo arbitro Herminio Silva sospende la partita, e alla fine quando il gioco riprende, El Cato Diaz, portiere dell’Estrella Polar, para la conclusione dell’attaccante ed è come se avesse estratto la pallina vincente della lotteria.

Irlanda del Nord, precisamente a Milford, tra il 1885 e il 1890. William Mc Crum, figlio di un imprenditore milionario è studente modello a Dublino presso il Trinity College, si divertiva a giocare a calcio al Milford Everton con il ruolo di portiere. Non era contento però dell’irruenza dei suoi compagni nella sua area di rigore, comportamento utilizzato per evitare la segnatura. Anziché esserne felice si lamentò e studiò un modo per porre rimedio a queste scorrettezze.

Nasce così il tiro “libero”, sanzione che si applicava per un intervento scorretto accaduto in area di rigore se compiuto dal giocatore difendente. L’idea di Mc Crum venne accolta con molte perplessità, e per poi raggiungere l’ok dai membri dell’International board il 2 giugno 1891 in un albergo di Glasgow. Da quel momento in poi fu introdotta ufficialmente la regola del calcio di rigore. Il primo tiro dal dischetto E venne ufficialmente calciato il 14 settembre 1891 a Wolverhampton in una partita tra i locali Wanderers e l’Accrington Stanley. Da quel momento in poi il calcio di rigore è una regola fissa del calcio mondiale.a tale regola a suscitato in noi emozioni forti e scosso le nostre memorie. Carlos Vidal fu il primo a calciare il primo rigore a un mondiale: era il 19 luglio 1930.il calciatore lo sbaglio, fu parato dal portiere e francese Alexis Thèpot che la stampa nazionale definì un eroe nonostante la sconfitta. La prima marcatura su calcio di rigore durante la massima competizione, avvenne nello stesso mondiale E nello stesso giorno dal messicano Manuel Rosas. Gli argentini invece, ricorderanno certamente i tre rigori sbagliati da Martin Palermo e nella stessa partita il 4 luglio 1999. Dopo la partita, il calciatore argentino ebbe il coraggio di dire: “se ci fosse stato un quarto rigore, avrei calciato anche quello“. Ci sono stati poi quelli che hanno calciato dal dischetto con la spensieratezza dei ragazzini.come non dimenticare Francesco Totti che nella semifinale dell’europeo del 2000 contro l’Olanda, incamminandosi verso il dischetto dice ad un compagno: “Mo’ je faccio er cucchiaio!”. E così fece, goal e Van Der Sar ipnotizzato. L’idea era venuta, 24 anni prima ad Antonin Panenka che in quel modo beffò Sepp Maier e regalò alla Cecoslovacchia il titolo europeo. Lo sguardo del portiere tedesco, tra lo stordito e l’arrabbiato, resta una delle immagini simboliche di chi si sente vittima di una beffa.

https://youtu.be/ROG4-QPIDgo

Ci sono stati momenti in cui però, i portieri si sono presi le loro rivincita andando loro stessi sul dischetto di rigore. I più anziani ricorderanno Sentimenti IV, che nella sua carriera segno cinque rigori di cui uno a suo fratello Arnaldo. In Sudamerica precisamente in Brasile, tutti ricorderanno Rogério Ceni, che con il San Paolo ha realizzato la bellezza di 69 rigori. Come non dimenticare Chilavert, che al contrario di Martin Palermo, né segno tre in una sola partita. Renè Higuita, che di fronte al collega avversario cominciava con le smorfie, le finte, i saltelli e tutte quelle bizzarrie che lo hanno reso famoso. Ad ogni modo non esiste un modo perfetto per calciare un calcio di rigore, persino gli esperti informatici non hanno trovato una soluzione. Li hanno sbagliati migliori al mondo da Maradona Pelé, e li hanno segnati sconosciuti su cui nessuno avrebbe scommesso un soldo. Forse perché più che la tecnica e lo stile conta il cervello.

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Il numero 12 non è più in catene “con il turnover giocano tutti”

di Maurizio Crosetti (La Repubblica 26-09-2018)

Nove portieri della Serie A erano riserve lo scorso anno: nessuno è più titolare per sempre. Il calendario fitto e il gioco con i piedi hanno allargato le rose pure in questo ruolo.

Nel calcio mutante, il dodicesimo uomo non esiste più. Essere portiere di riserva è stata per decenni una scelta e insieme una condanna alla prigione della panchina, fine pena mai. Ma adesso è cambiato tutto, si gioca sempre (tre volte in otto giorni in questo turno di campionato stretto tra le Coppe) e servono tanti, troppi calciatori. Anche nel ruolo in teoria più rigido e meno intercambiabile, il portiere appunto, la titolarità è spesso astratta, non più un abito da indossare in eterno. Addirittura 9 portieri titolari in serie A erano riserve l’anno scorso. Stasera nella Juventus gioca Perin, dodicesimo dell’ex dodicesimo Szczesny. La catena della riserva liberata riguarda le grandi (la Juve, ma anche il Napoli con Ospina che era la riserva di Cech all’Arsenal), le medie (l’Atalanta si affida a Gollini, il Bologna a Skorupski che stava fuori alla Roma) e le medio/piccole (Sepe a Parma, Scuffet all’Udinese, Marchetti al Genoa, Gomis alla Spal, Terracciano all’Empoli). In porta c’è posto. Continua a leggere Il numero 12 non è più in catene “con il turnover giocano tutti”

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Il volo di Brignoli: “Racconterò ai figli il mio gol a Gigio…”

di Luca Bianchin

Il portiere del Benevento: “Ho chiuso gli occhi ed ero storto… Ho fatto piangere il presidente”.

Brignoli è il quinto portiere a segnare in Serie A. Il primo fu Sentimenti IV, in rete quattro volte (1 col Modena, 3 con la Lazio), poi Antonio Rigamonti, portiere rigorista col Como. Infine Rampulla e Taibi, un gol di testa per entrambi. Continua a leggere Il volo di Brignoli: “Racconterò ai figli il mio gol a Gigio…”

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Intervista a Zoff: “Fare il portiere è come allenare”

Interessante iniziativa intrapresa dal Corriere dello sport: un’inchiesta sul ruolo che negli anni è cambiato più di tutti. La terza puntata è dedicata a un monumento del calcio italiano, all’uomo del francobollo, Dino Zoff. La sua epoca è stata la più ricca di talenti, come dice lui stesso. Dino ci porta in una stagione felice del portiere italiano, senza dimenticare i migliori stranieri di quell’epoca. 

Il timore dell’errore penalizza la qualità. Il calcio è cambiato: ormai ci sono più respinte che parate.

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L’allenamento del portiere nel calcio italiano: il comunicato stampa

I numeri 1 del calcio si allenano su campi in gomma riciclata

 Uno stage formativo dei migliori preparatori dei portieri italiani sull’evoluzione tecnica dell’allenamento dei portieri si è svolto sull’innovativo campo del Bologna Fc 1909. Claudio Filippi, allenatore dei portieri della Juventus Fc “l’interesse del calcio professionistico per i campi in sintetico è in aumento

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Il programma della giornata: L’allenamento del portiere nel calcio italiano

Il blog ilnumero1.it è felice di annunciare il programma della giornata del seminario “L’ALLENAMENTO DEL PORTIERE NEL CALCIO ITALIANO Tradizione, innovazione e nuove mode” rivolto a tutti gli allenatori dei portieri e che si svolgerà il 5 GIUGNO dalle ore 9.30 alle ore 18.15 presso il centro tecnico del Bologna FC 1909 “N. Galli” via Casteldebole, 6/10 Bologna. Continua a leggere Il programma della giornata: L’allenamento del portiere nel calcio italiano

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Squadre di B, riserva di ricchezza

La Redazione pubblica l’articolo redatto da Stefano Saladin per il giornale Tuttosport in data 5-7-2016. A distanza di pochi giorni dall’eliminazione dagli Euro2016 ai calci di rigore contro la Germania, il giornalista fa un’attenta analisi sull’importanza delle seconde squadre nelle altre nazioni. Questa riforma, oltre ad essere una vera rivoluzione per il calcio italiano, sembrerebbe fatta su misura per i portieri giovani e bravi, che ne trarrebbero grande vantaggio a differenza (forse) di quanto accade nei campionati dilettanti e di Lega Pro.

Istituite da tempo in Francia, Germania e Portogallo. In Italia se ne parla da tempo…
La differenza si vede prima di tutto nel ricambio generazionale: le altre nazionali presenti a Euro 2016 erano quasi tutte più giovani di noi.

di Stefano Salandin

Il tifo, l’amor patrio, la condivisione di di sentimenti è tutto il cumulo di emozioni che si porta appresso una partita della nazionale, tanto più in un torneo come l’europeo ho il mondiale, rischiano spesso di far perdere di vista la realtà delle cose a vantaggio delle emozioni e dell’irrazionalità del momento. Così, c’è chi sostiene che l’Italia calcistica abbia tracciato una linea di futuro, lasciando un’eredità con le prestazioni “scientificamente ardite” messe in Francia. Purtroppo non è così. Non lo è principalmente in considerazione dell’età media della nostra nazionale, la terzultima tra le 24 squadre che hanno partecipato alla fase finale, ma non lo è anche, e soprattutto, perché l’intero movimento non è sorretto da una (sufficiente) forza riformatrice da parte della federazione. Troppo blande le nuove norme su tesseramento degli extracomunitari e sull’introduzione dei “giovani di serie” (quelli formati nei vivai) che hanno pochi grossi (Pandev e Icardi, per dire, sono formati ma non arruolabili in azzurro) e che soprattutto sono monche se non seguite da altre modifiche. Prima fra tutte, l’istituzione delle seconde squadre. Francia, Germania e Portogallo (del Galles trattiamo a parte), per esempio, le hanno istituite da tempo.

Come funziona
Qui in Francia le “squadre B” non prevedono limiti di età, ma devono mantenere almeno due categorie di differenza rispetto alla prima squadra. I costi di gestione sono estremamente bassi, essendo inserite in un sistema semiprofessionistico (tra i 500 mila e i 2 milioni di euro l’anno) e permettono anche il passaggio costante dei giocatori tra la prima e la seconda squadra. I benefici per i club-madre e la nazionale dipendono molte dalle strategie: il Psg multimilionario ne ha comunque tre (Rabiot, Maignan e Ongneda), il Lione e quello che pesca di più: Lacazette, Untiti (titolare contro l’Islanda e venduto al Barcellona facendo fruttare una plusvalenza pazzesca al club), Lopes e molti altri. In nazionale, oltre a lui, c’è anche Digne e in Brasile tra i convocati pure Ruffier, Cabella e Varanne. Il Portogallo assomiglia molto alla Francia con la differenza che la squadra riserve può arrivare fino in serie B. Dopo la loro istituzione, il Portogallo ha esaltato la sua caratteristica di nazione esportatrice di talenti e la nazionale, dopo un lungo periodo di oblio, è tornata a disputare le ultime quattro manifestazioni mondiali e le ultime cinque europee. La Germania, infine, è l’esempio più scintillante virtuoso. La riforma è stata avviata dopo il disastro all’europeo del 2000 (eliminata ai gironi) e dopo che nei quattro anni precedenti – guarda un pò – aveva cambiato più CT che in tutta la storia della federazione alla vana ricerca di un salvifico taumaturgo. Le basi furono i nuovi stadi e le accademy: per iscriversi alla Bundesliga, ogni club deve avere un settore giovanile che risponda a determinati requisiti tecnici federali e abbia adeguati budget. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un mondiale vinto e mai meno di una semifinale negli ultimi 10 anni. E praticamente tutti i giocatori della nazionale arrivano dalle seconde squadre (limite massimo la terza serie e niente coppa di Germania) a cui vengono girati i giovani delle accademy in attesa che siano pronti per il grande salto in Bundesliga. Ma attenzione: anche la Spagna campione in Sudafrica aveva 21 giocatori su 23 provenienti dalle seconde squadre (e il rinnovamento è pronto) e la stessa Inghilterra, la nazionale con l’età media più bassa dell’europeo, ha avviato una importante riforma nel 2012. Virtuoso anche il percorso avviato dal Belgio, i cui talenti sono stati penalizzati in Francia dalla disastrosa guida tecnica di Marc Wilmots.

“Era conte l’unico valore aggiunto dell’Italia. In Francia sono rimaste in gara quattro nazionali a contendersi il titolo di campione d’Europa. Tre di queste sono emanazione di federazioni che hanno istituito le “seconde squadre” nell’ordinamento calcistico mentre una, il Galles, è una anomalia che comunque ha avviato un rinnovamento di rapporti con le società sulla falsariga di quello che Conte avrebbe inteso portare avanti con i nostri club. L’Italia che tornata a casa, invece, non ha né le seconde squadre nè nuovi rapporti, bensì “solo” un’anomalia: Conte. Che in futuro non ci sarà più”.

Il taumaturgo
Già, la controprova non esiste, ma cosa avrebbero combinato squadre giovani e di talento, come appunto, Belgio e Inghilterra se fossero state affidate a Conte? O allo stesso Prandelli che, sarà opportuno non scordarlo mai, pure ereditò una nazionale reduce da macerie mondiali e la portò addirittura al secondo posto dell’europeo nel 2012. Anche allora si sostenne che quella era un’eredità importante per il calcio italiano, ma in assenza di radicali profonde riforme abbiamo visto tutti come è andata a finire. Infatti siamo ancora qui, in attesa del prossimo taumaturgo che sappia far gettare il cuore oltre l’ostacolo giocatori (Buffon e difesa azzurra parte) dal talento medio e S’ con pochissima esperienza internazionale.