Spesso ci si chiede, di questo o di quel crack del football mondiale: “E se non avesse fatto il calciatore quale strada avrebbe mai potuto intraprendere, uno così?”. Se dalla casistica generale scendiamo al particolare di Charlse Joseph John Hart, per tutti Joe, neo portiere del Toro e titolare dell’Inghilterra, la risposta che ne verrà fuori può davvero essere stupefacente. Lo spilungone di Shrewsbury, contea di Shropshire a due passi dal Galles, infatti, ha lo sport nel sangue, l’agonismo nel destino fin dalla più tenera infanzia. Il portiere del Toro, infatti, fino quasi al compimento del quindicesimo anno d’età, aveva una grandissima passione: così racconta Jack Shantry, un suo ex compagno di squadra nello Shrewsbury Under 13 e Under 15. Mica di football, però. Di cricket: dopo il calcio, l’altro grande amore d’Oltremanica, una disciplina che più inglese non si può.
Amici fraterni
«Ho conosciuto Joe a sette anni, a scuola – spiega Shantry, stella del Worcestershire. Abbiamo studiato insieme e siamo stati compagni di squadra, sia nella rappresentativa di football che in quella di cricket. Eh sì: a cricket eravamo forti, ma forti forti, al punto da diventare campioni giovanili d’Inghilterra. A calcio sì, ci giocavamo. La passione vera, però, erano wickets and bails, ossia i 4 bastoni, 3 verticali e 1 orizzontale, a cui mira il lanciatore: quelli sì che ci facevano andare fuori di testa e passare ore e ore e ore insieme… Io e Joe abbiamo frequentato la Oxon CE Primary School (l’equivalente della nostra scuola Elementare nel sistema d’istruzione d’Oltremanica). Eravamo legatissimi da ragazzini e non nego che, any given saturday, ogni sabato che il Signore manda in terra, ancora adesso io butto un occhio su quello che ha fatto il City per capire se Joe è felice per aver realizzato un buon lavoro o arrabbiato perché le cose non sono andate come voleva. Sì, volevo dire buttavo: ora dovrò ricordarmi di controllare la tv alla domenica e non al sabato, visto che lui è andato a lavorare in Italia. Alla Worcestershire Academy Joe era nella classe dell’anno precedente al mio. E’ passato qualche lustro e dunque ve lo posso pure confessare: era più forte di me, sia a cricket che a pallone. Credetemi: non fosse stato un calciatore, se avesse preferito la palla piccola, quella del mio sport, al pallone grosso del football, ne avremmo comunque sentito parlare, sarebbe diventato una star anche in questa disciplina tanto cara a noi britons. Joe avrebbe potuto essere uno dei migliori della contea, e non solo: ricordo bene la sua velocità e che mazzate dava alla palla! Sì, aveva tutte le caratteristiche per sfondare pure nel cricket». Amici sui banchi, da bambini. Compagni di squadra da ragazzini, ma con destini opposti: «Io a pallone mi sono fermato alla militanza nella Manchester University e all’anno in prestito negli Hyde United – conclude Shantry -. Alla fine di quell’anno con i Tigers, tra i semiprofessionisti, ho firmato con il Worcestershire. L’età dei dubbi era passata: avevo scelto wickets and bails. Io amavo il cricket».
I comandamenti
E mentre Shantry scacciava ogni dubbio calcistico giurando amore eterno al cricket, Joe, di un anno più vecchio dell’amico, abbandonava le partite interminabili con caschetti, mazze e palle più piccole per mettere i guantoni giusti, quelli da portiere di football. Per sempre. E anche il senso del piazzamento e la destrezza che sono fondamentali nel cricket lo hanno aiutato a diventare un grande portiere. Parte del merito va a Dave Timmins: il suo primo allenatore allo Shewsbury Town. Di più, il suo mentore. Fu proprio Timmins, ora al Port Vale, club di League One, a insegnare a Joe alcune chiavi per avere successo e per riuscire a mantenerlo, perché questo è il difficile. «Innanzitutto gli spiegai che “il corpo è il tuo tempio”: lo trasformai in 3 anni da un gracilino e impacciato lungagnone in un atleta muscolare ed esplosivo molto simile all’Hart di adesso, insomma». Quindi Timmins passò allo step due: “Rifuggi la tua zona di comfort e sicurezza”, mettendolo a giocare con ragazzi di due tre anni più anziani. Una mossa fondamentale, che ha abituato Hart a gestire la pressione e a elevare le sue performance. Step 3 della cura Timmons fu “sii impegnato”. «Ci stavamo allenando ed era inverno. Pioveva e faceva un freddo allucinante che ti entra nelle ossa e ti annebbia il cervello. Joe tremava come una foglia e piagnucolava. Ma mica ha mollato, eh. Il giorno dopo il clima era lo stesso e Joe era sempre lì, a respingere palloni. Ecco, il suo spirito è rimasto immutato: può prenderla con le mani, i piedi, la coscia, pure la faccia. Lui resta lì e non si arrende. Non c’è nulla che lo può fermare», continua Timmins. Ma la cura su Joe andò avanti, altri gradini dovevano essere saliti. “Sii concentrato e amplia il tuo range di abilità”. E poi: “Impara dai migliori. Guardali, studiali”. Aggiunge Timmins: «Fin da giovane coltiva un’etica del lavoro e una voglia di imparare pazzesche». I migliori per il giovane Hart erano due e soltanto due: un inglese e un danese, David Seaman dell’Arsenal e Peter Schmeichel dello United. L’ultima regola, step 6, di Timmins è forse quella a cui Joe ha pensato di più nell’ultima settimana, che lo ha portato a vestire il granata: “Abbi sempre una rete di sicurezza”. «Capita anche ad altri tipi di sportivi. Dopo un errore, quando le cose non vanno benissimo, ricominci a fare le cose semplici, quelle che ti riescono meglio. E riparti. E torni a essere forte». Il Toro, la rete di sicurezza di Joe Hart. Cosa può essere Hart per il Toro? Semplice, l’uomo che non molla mai, manco se deve pararla con la faccia a dieci gradi sotto zero, sotto la neve.
[Fonte Tuttosport 3/9/2016]