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Il talento perduto: analisi nel calcio italiano

La crisi del calcio italiano: il talento che emerge e scompare, politiche inefficaci e resistenze dei club. Qual è la soluzione per il futuro?

Il problema del ricambio generazionale

Leggete con attenzione queste parole: «La competitività della nostra Nazionale è in picchiata, dobbiamo invertire la tendenza. C’è una difficoltà oggettiva di ricambio generazionale, un problema di quantità di giocatori selezionabili per l’Italia e di qualità degli stessi giocatori». Queste non sono le parole di Spalletti dopo la sconfitta contro la Svizzera, ma di Giancarlo Abete nel 2010, quando era presidente della Federcalcio. Allora come oggi, l’Italia usciva di scena al primo turno di un Mondiale che aveva affrontato da campione in carica, simile all’ultimo Europeo.

Un decennio perso

Quattordici anni dopo, siamo ancora all’anno zero, con il rimpianto di aver incenerito oltre un decennio senza fare nulla di significativo. Nel 2010, Gianluigi Donnarumma era un undicenne che giocava nel Club Napoli di Castellammare di Stabia. Oggi, è l’unico fuoriclasse prodotto dal nostro movimento in questi 14 anni. Dove finisce il talento? L’autopsia sul calcio di strada abbandonato per i videogiochi, sulle scuole calcio e sulla troppa tattica è ormai superata: queste dinamiche esistono ovunque, anche nei Paesi dove nascono Mbappé, Bellingham, Wirtz e Yamal. Tuttavia, Donnarumma rimane l’unico dei 26 convocati da Spalletti in Germania che a 16 anni aveva già giocato in Serie A, grazie al coraggio di Mihajlovic, lo stesso che anni prima suggerì a Boskov di dare fiducia a un giovane Totti, anche lui 16enne.

Giovani talenti in fuga

Oggi, talenti come Calafiori e Dimarco, tra i migliori della Nazionale, per emergere hanno dovuto passare dalla Svizzera – un perfido paradosso – perché scartati a 20 anni da allenatori che preferivano l’usato garantito. Siamo tra i migliori a 17 o 18 anni, poi scompariamo per riemergere in Nazionale solo a 23. Quando Spalletti ha stilato la lista dei 26 azzurri, ha avuto l’imbarazzo della scelta tra i portieri. Per il resto, la situazione era desolante. I calciatori selezionabili, considerando età (diciamo under 35), integrità fisica e minima esperienza, erano solo 137. Significa che uno ogni sei è stato convocato per l’Europeo. Altro che “uno su mille ce la fa”: è una nazionale discount, accessibile praticamente a tutti.

Gli italiani non giocano

Gli italiani non giocano, e non giocano ad altissimo livello: per minuti in Champions League, gli azzurri dell’Europeo sono lontanissimi da francesi, tedeschi, portoghesi e spagnoli, nonostante la giovane età di molti di questi ultimi. Inoltre, sono pochi i nostri nazionali che vanno a giocare all’estero: poco più di uno ogni dieci, mentre in Francia più di due su tre vivono lontano da casa, e uno su quattro tra gli spagnoli. Il 92% degli svizzeri gioca all’estero, un imbarazzante termine di paragone. Tra i ventenni, solo Kayode della Fiorentina è presente tra i cento under 20 più impiegati nelle serie A di tutto il mondo, e solo per l’infortunio di Dodò.

Questioni politiche

Questo riguarda le scelte di allenatori e giocatori, ma c’è anche una questione politica. Quando nel 2018 la Federcalcio aprì alle seconde squadre, aderì un solo club: la Juventus, che inizialmente sembrava utilizzarle per le plusvalenze. Da un paio d’anni stanno dando frutti – Fagioli, Soulé, Hujsen – e altre squadre l’hanno imitata: un anno fa l’Atalanta, oggi il Milan. Eppure, si scontrano con l’ostilità della Serie B, la stessa che annuncia progetti per i giovani e poi chiede uno straniero in più per squadra. De Laurentis voleva addirittura otto extracomunitari, ma l’ultimo titolare cresciuto in casa che ha avuto è stato Insigne, classe ’91.

Di chi è la colpa?

Di chi è la colpa? Facile dare la colpa alla Federcalcio, responsabile della Nazionale e della politica sui giovani. E responsabilità ne ha di certo. Ma ogni tentativo di riforma si è scontrato con le resistenze del movimento. I club, nessuno escluso, non hanno fatto nulla per favorire l’impiego degli italiani, intasando le squadre di stranieri spesso senza qualità, ma che grazie al decreto crescita costavano meno. Il 4 novembre si voterà un nuovo (o vecchio) presidente federale, deciso probabilmente dalla Lega Dilettanti che pesa per più di un terzo dei voti. Ed è guidata da quel Giancarlo Abete che 14 anni fa denunciava il problema e che oggi è ancora lì, senza aver mai nemmeno suggerito una soluzione.

Fonte: Matteo Pinci, La Repubblica 02-07-2024

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