Un estratto dell’interessante relazione al master “prime squadre” dell’allenatore dei portieri della Juventus, Claudio Filippi. Il tecnico bianconero ha illustrato il perché dell’impostazione da dietro, l’evoluzione del ruolo e il training del portiere moderno. L’articolo è stato pubblicato su il nuovo calcio nel mese di Gennaio 2023.
“Hai allenato per anni il portiere più forte del mondo, Gigi Buffon!” Così presenta un relatore d’eccezione al nostro aggiornamento per le prime squadre il direttore de Il Nuovo Calcio Ferretto Ferretti. Sì, perché Claudio Filippi per dieci stagioni ha preparato l’attuale numero uno del Parma, un’icona nel suo ruolo. Ruolo che ha contribuito a trasformare in maniera inequivocabile. «Per me è il migliore della storia – precisa Claudio – perché è rimasto ai massimi livelli per più tempo. Si paragonano, ad esempio, lui e Dida, lui e Julio Cesar, lui e Neuer… però lui, Gigi, c’è sempre.» E questo è innegabile. Buffon, da quell’esordio contro il Milan nel 1995 (del quale Filippi mostra alcuni video per spiegare la modernità del suo “attacco alla palla”; già, siamo nel 1995 non dimentichiamolo), è stato il riferimento per tutta la categoria, anzi un modello da inseguire per più di una generazione di bambini che si presentavano al campo coi guanti alle mani.
L’evoluzione del ruolo
Claudio Filippi è stato un portiere con un passato in Serie D, si è diplomato all’allora ISEF di Roma e ha iniziato la professione, inizialmente sia giocando sia allenando. Poi la chiamata alla Fidelis Andria, il passaggio al Chievo di Delneri (futuristico in quei tempi), alla Roma, al Siena, al Parma e infine alla Juventus. «Ho collaborato con diversi tecnici e tutti mi hanno arricchito. Ho lavorato per 7 stagioni con Allegri, 6 con Delneri, 3 con Conte e con Di Carlo, mister con metodi e idee differenti tra loro. Mi hanno fatto crescere!». Oltre a questo ha attraversato la recente rivoluzione del ruolo, dovuta sia a degli importanti cambiamenti regolamentari sia all’evoluzione del gioco e alle richieste degli allenatori. È passato, insomma, dal portiere che doveva solo stare tra i pali a quello regista o play, come alcuni addetti ai lavori affermano. «Insomma, non esageriamo – dice Filippi – sono definizioni un po’ troppo forti, regalano un’immagine eccessiva al numero uno. Certo, è fondamentale nella costruzione, nell’impostazione del gio- co, ma deve soprattutto parare ed evitare reti.» A proposito di evoluzione, l’allenatore bianconero mostra una slide (figura 1) in cui sono raffigurati 3 allenatori che hanno cambiato il calcio e 3 portieri che hanno fatto lo stesso col ruolo.
Uno è proprio Buffon, che quasi trent’anni fa mostrava (e i video proposti lo garantiscono) l’importanza (e l’efficacia) dell’attacco alla palla, con Fabio Capello che spiegava in conferenza stampa la sua bravura nell’uscire dai pali, indicando il tempismo come tratto distintivo (e prerequisito). «Prima di lui c’era Ghezzi, abile in queste situazioni. Lo avevano soprannominato kamikaze, erano gli anni Cinquanta, un antesignano del moderno numero uno. Poi c’è stato il Chievo: con Delneri giocavamo con una linea alta e i numeri uno, Lupatelli, Marchegiani ma anche Frezzolini e Ambrosio dovevano coprire quello spazio di campo alle spalle dei difensori sia fuori area sia dentro con attacchi alla palla. Ecco che bisogna preparare i portieri a questo e l’allenamento virò in tale direzione.»
Forse anche troppo. Quasi per “moda”. Quello delle “mode” è un tema caro a Filippi, che evidenzia come allora lavorare all’attacco della palla sembrava un tratto distintivo di chi voleva apparire all’avanguardia, la stessa cosa che accade per certi versi nella costruzione dal basso ai giorni nostri. Infatti dice: «Alcuni allenatori provano a imitare, altri a comprendere i princìpi, ma comunque occorre valutare gli atleti che si allenano, la tradizione del club, il tipo di calcio che si può realizzare e i momenti della stagione, che non sono tutti uguali. Insomma, se non si conoscono i princìpi, se non si è capaci di far passare i concetti e le idee, se non si hanno atleti disponibili all’apprendimento, diventa complicato proporre l’impostazione dal portiere. Questa deve essere una scelta». Non un “così fan tutti!”. E soprattutto non un modo certo, sicuro per vincere le partite. Infatti, mister Filippi porta come esempi allenatori differenti tra loro che hanno espresso il loro parere in merito. Su tutti quello di Roberto De Zerbi che afferma: “Nessuna idea, pur bella che sia, garantisce il successo. Quindi si tratta di fare delle scelte e trovare il modo giusto per trasmetterle”.
Di cosa si tratta
La costruzione dal portiere viene definita da Filippi come il modo di portare una palla “pulita”, giocabile e possibilmente rasoterra ai giocatori offensivi e di maggior talento. «Attenzione però, alcuni allenatori pensano che la buona riuscita sia esclusivamente dipendente dall’estremo difensore. Sarebbe troppo semplice, anche se le sue interpretazioni sono importanti. Inoltre, per svilupparla con efficacia contano la disponibilità dei calciatori che possono proporsi o meno (un esempio nella foto A), la conoscenza del gioco da parte loro – ha poco senso che un centrocampista chieda palla con uno smarcamento troppo veloce e con una postura inadeguata –, l’organizzazione della pressione avversaria e le contromosse attuate dagli oppositori.
Ad esempio, per superare la prima aggressione si fa spesso ricorso alla soluzione del terzo uomo (un esempio nella foto B) con l’avversario che, una volta battuto, si fermava. Ora, diversi allenatori richiedono a questo elemento in pressione di dirigersi immediatamente sul secondo ricevente.»
Ma quali sono le situazioni che si possono sviluppare nell’impostazione dal basso? Schematizzando il tutto, avremo:
– la rimessa dal fondo classica, con il pallone fermo;
– le soluzioni con palla in gioco.
In caso di rimessa dal fondo vi sono due possibilità:
– il portiere che serve il compagno (solitamente quando si è in superiorità);
– il portiere che riceve dal compagno (capita spesso in parità numerica).
Quando l’estremo difensore riceve dal compagno può essere pressato o meno. Nel primo caso può:
– effettuare un passaggio diretto a un compagno;
– optare per una soluzione al terzo uomo;
– giocare lungo.
Nel secondo caso può invitare la pressione oppure effettuare un passaggio diretto (foto C) o uno lungo. Una nuova frontiera è la giocata forte e precisa in profondi- tà quando i rivali portano un’aggressione uomo contro uomo molto forte, frontiera aperta da Ederson e dal Man City. Con palla in gioco le situazioni sono simili.
Detto questo, è comunque importante comprendere le caratteristiche del portiere (inquadra il Qr code per ascoltare la spiegazione in merito dell’allenatore dei portieri della Juventus, disponibile sul numero di Gennaio 2023 de il nuovo calcio).
L’allenamento
«Al corso UEFA GK A che ho frequentato nel 2020, c’è stato un momento importante di confronto sulle nuove tendenze dell’allenamento, vale a dire l’integrazione del portiere nelle dinamiche di squadra, per la difesa dello spazio (che c’è sempre stata) e anche nella costruzione. Perché è essenziale prevedere una parte con i compagni di movimento?
Per creare empatia con loro. Infatti, il portiere deve conoscere le loro movenze, in che modo prendono il tempo per smarcarsi – capita a volte di vedere un movimento a liberarsi dal rivale quando il portiere non può eseguire la trasmissione; questo è un errore –, la scelta del controllo che orienta la pressione, la precisione e il ritmo del passaggio e la velocità di apprendimento. Ricordo che le conoscenze del gioco si apprendono più rapidamente in un contesto collettivo e situazionale.» Inoltre, con l’allenamento aggregato alla squadra si esaltano le capacità di scelta: «L’errore del portiere diventa produttivo, permette di capire, di migliorare. Ad esempio, proposte come torelli 6>2 in cui vi sono anche i portieri oppure dei possessi 5>5 con 3 jolly (i due vicini alle porte sono i numeri uno – figura 2) possono agevolare il gioco podalico e la presa di decisione. In forma più specifica, ad esempio si possono proporre situazioni di “stress da costruzione” in cui si gioca 7>6 (6>6 + portiere, nda) per raggiungere una linea di meta (figura 3)».
Ma non basta. Oltre all’inserimento nella squadra, poi c’è l’ambito specifico, che non va mai trascurato. Filippi parla dell’importanza di sollecitare all’interno del gruppo portieri:
– destrezza;
– abilità nel controllo;
– qualità nel passaggio;
– capacità di scelta.
A tal proposito si possono svolgere esercitazioni che prevedono:
– passaggio dell’allenatore al portiere il quale deve eseguire una “ricezione dribbling” (con fantasia) e riservire il tecnico;
– passaggio dell’allenatore al portiere che deve con una ricezione evitare una sagoma e servire un collaboratore (modificando la distanza della sagoma cambiano le difficoltà);
– ricezione di palloni rimbalzanti e non “puliti” da gestire e trasmettere al mister;
– ricezioni e passaggi lunghi su porticine lontane (si simula una giocata al terzino ad esempio);
– un compagno che dà o meno disponibilità alla ricezione (in caso positivo si esegue il passaggio; in caso negativo si calcia in una porticina);
– più collaboratori che simulano smarcamenti per ricevere partendo da dietro delle sagome;
– pressione di un avversario e due compagni pronti in aiuto (play e difensore a destra/sinistra).
Allenamenti con la squadra e specifico con il gruppo portieri sulla costruzione dal basso devono essere bilanciati sapientemente perché il tempo, in qualsiasi categoria – soprattutto per una squadra come la Juventus che gioca spesso ogni 3 giorni – è poco. Resta quindi determinante lavorare di staff nella pianificazione dell’allenamento. Ricordando che «Spesso sembrano rischiose alcune giocate che in realtà, se allenate e preparate bene durante la settimana, non lo sono».