Fonte il Foglio del 24-10-2020
Franco Tancredi è un ex calciatore italiano, di ruolo portiere. Vincitore di uno scudetto (1983) e quattro Coppe Italia (1980, 1981, 1984, 1986) con la Roma. Nel 2012 è stato inserito nella hall of fame della squadra capitolina. Ha conquistato anche una Coppa Mitropa con la maglia del Torino nel 1991. Un passato da allenatore dei portieri alla Roma, Milan, Torino, Juventus, Real Madrid, Inghilterra, Russia e Jiangsu Suning. Ecco le parole del mister nell’edizione cartacea del quotidiano:
“Non esiste un portiere che sia nato portiere. Per stare in porta devi avere qualità innate. L’addestramento te lo può migliorare, ma se non ce l’hai dalla nascita non puoi stare in porta. Le qualità sono fisiche e psicologiche. Le stesse che ha un grande attaccante. Se uno non nasce goleador non diventerà mai un grande goleador. Tu puoi lavorare per ampliare i pregi e per limare i difetti, ma senza una solida base naturale non arrivi da nessuna parte. Questo vuol dire riconoscere un bravo portiere già da bambino, basta avere l’occhio giusto per farlo. La selezione a livello giovanile difficilmente con il passare degli anni si dimostra sballata. Sono rari i casi di chi da piccolo era scarso e da grandicello è diventato un mezzo fenomeno. Se mai, sono più numerosi quelli al contrario. Negli ultimi anni il ruolo del portiere è cambiato tanto… troppo… vi ricordate quando si poteva passare il pallone indietro al portiere e lui lo raccoglieva con le mani? Sembra preistoria. Una volta si diceva che per fare il portiere occorreva essere pazzi. Io, da sempre, considero il portiere il giocatore più intelligente della squadra. Il portiere deve capire il gioco, prevederlo, addirittura indirizzarlo. Deve guidare la squadra, in entrambi le fasi, avendo la possibilità, unico tra 11, di avere la faccia sempre rivolta verso la palla. Tutto questo può farlo un pazzo?
Alcuni degli attuali sistemi di gioco prevedono un portiere con i piedi raffinati, uno che sappia cominciare l’azione, che sappia far girare la palla, che sappia fungere da difensore o da regista aggiunto. Va bene, ci sto. Io, però dico che è un portiere come prima cosa deve saper usare bene le mani, non i piedi. La scuola italiana portieri non è mai sparita. Solo che per anni ha dominato la dittatura di Buffon. Per tanti anni, Gigi è stato il Messi dei portieri e al suo confronto tutti gli altri colleghi sembravano delle schiappe. Ma non era vero. E ragazzi come Consigli, Mirante o Sirigu, per anni sono stati costretti a vivere all’ombra mediatica di Buffon, oggi stanno lì a dimostrare che la qualità italiana tra i pali non è mai mancata. Per quanto riguarda Donnarumma, da un annetto, più o meno, ha cominciato ad essere il portiere del Milan. Prima era un ragazzino carico di troppe responsabilità che giocava in porta con il Milan. Mi piace tantissimo Meret, uno che non ha paura di abbandonare la linea di porta e andare a caccia del pallone. Uno che a Napoli gioca poco perché Ospina è più bravo con i piedi… E poi Cragno: esplosivo.
Il difetto più grande per un portiere e avere alle caviglie una catena che li tiene attaccati al palo. Un po’ una mancanza di coraggio e un po’ tanto pure mancanza di tecnica. Mancanza di addestramento, di allenamento, di lavoro. I preparatori italiani, tutti i figli del maestro Roberto Negrisolo, sono unici al mondo. Noi non insegniamo solo a parare, ma come parare. Postura del corpo, posizione delle mani, addirittura delle dita, angolazione delle ginocchia, distanza tra i piedi. All’estero, posso testimoniarlo in prima persona, sui portieri si fa un lavoro diverso, più fisico-atletico che tecnico. Ho lavorato con capello e quindi ho allenato portieri spagnoli, tipo Casillas, oppure inglesi, russi e anche cinesi, e in ogni paese ho portato elementi di lavoro della nostra scuola. Metodi che nessuno conosceva, esercizi che prima hanno incuriosito, appassionato i miei portieri e poi li hanno migliorati. E lo dico senza alcun vanto gratuito. Avete fatto caso che i bravi portieri stranieri in Italia diventano ancora più bravi? E di chi è il merito? Penso a Handanovič, Alisson, Szczesny. Allison è fuori concorso. Lui non può entrare in queste classifiche: troppo più bravo di tutti, lui rasenta la perfezione. Tutti gli altri lo guardano dal basso.
Non esiste un portiere che non sbaglia. Il portiere più bravo è quello che sbaglia meno degli altri. Quello che para quando c’è da parare, magari anche una volta sola a partita e al 90º. E quelle, te lo assicuro, sono le parate più complicate.
L’intervista completa è disponibile sull’edizione cartacea del quotidiano.