di Roberto Beccantini (Gazzetta dello sport)
La nuova regola sui rigori che «blocca» gli estremi difensori ha già fatto discutere in Supercoppa europea. E aggiunta alla Var…
Dalla carovana del campionato in partenza, un po’ Alice e un po’ paese delle meraviglie, isolo un piede, il piede che i portieri, sui calci di rigore, saranno obbligati a tenere incollato alla linea di porta. Uno solo, non più entrambi, così da permettere «maggiore mobilità» di tuffo. Sinceramente, non ne sentivo la mancanza ma non affiorato dall’epilogo della Supercoppa tra Liverpool e Chelsea.
Ogni volta che scorre in tv, l’avanzata di Adrian al momento dello sparo di Tammy Abraham non smette di suscitare dubbi: murato di piede, fu il penalty che orientò il trofeo. Ma dov’era il piede? Sono situazioni scabrose, cavillose, che rimandano alla drastica scelta del fuorigioco: la tecnologia più sofisticata (e più efferata, lasciatemelo dire), ha sostituito il concetto di luce. Con la video assistenza bastano, oggi, un alluce, un ginocchio, un capezzolo per determinare l’illegalità dell’azione. Il piede «di rigore» entra di prepotenza nella lista dei ricercati dalla Var, già sotto tiro e sotto stress per il giro di vite imposto al «mani-comio». L’arresto dell’offside millimetrico, in diretta per diottrie miracolose o in differita via schermo, è stato universalmente accettato, anche se Paolo Casarin, ex designatore, continua ad affermare che il fuorigioco deve essere «posizione, non competizione»: se un giocatore mette il petto oltre l’avversario non ha vinto i cento metri, anche perché l’avversario non è il traguardo, e neppure frodato lo spirito dei padri fondatori. Ecco allora che, tornando ai rigori e ai piedi dei portieri, i dettagli potrebbero risultare complici, e non semplicemente testimoni; e la novità stabilita dall’International Board, lungi dallo snellire il lavoro degli sceriffi, potrebbe finire per zavorrarlo.
Prendete il penalty di Abraham e la scarpa di Adrian e trasferiteli in una cavalcata del nostro rodeo. Moviole ufficiali, ufficiose e del giorno dopo avrebbero contribuito, comunque, ad agitare dibattiti e risse. La suola dell’Adrian di turno sarebbe diventata feticcio, impiccio e pasticcio, con i giudizi dei consumatori legati più a esigenze viscerali, di tribù, che non a urgenze sociali, di equilibrio. Insomma: si va verso un calcio sempre più scientifico, minimalista, dedito al culto del «particulare». I numeri ci scorteranno impavidi e non rinunceranno a invadere i nostri sentieri, i nostri scrupoli. Per questo, sto con Charles Bukowski, la musa di Maurizio Sarri: «Non mi fido molto delle statistiche, perché un uomo con la testa nel forno acceso e i piedi nel congelatore statisticamente ha una temperatura media». Pensare ai piedi, e non solo con i piedi: dovremo abituarci.