Quando da Ferrara giunsero in maglia azzurra Bugatti il “gatto volante”, Corelli mediano di lunga gittata e Di Giacomo “il bersagliere”. Estate 1953: il portiere fu l’unico acquisto di Lauro, costò 55 milioni.
di Mimmo Carratelli (Corriere dello sport 21-12-2018)
Lauro tirò fuori un pacchetto delle sigarette svizzere, ne buttò il contenuto, rovesciò la scatola e sulla parte interna scrisse con una matita: “Pagate per me 55 milioni”. Firmò col suo nome. Poi disse: “Vai alla Banca commerciale e fatti pagare”. Paolo Mazza, ex elettricista e presidente della Spal, osservò: “Ma, Comandante, questo non è un assegno”. “Tu non ti preoccupare, vai in banca”, lo rassicurò Lauro. L’uomo andò in banca col rovescio del pacchetto di sigarette, lo mostrò a un cassiere e quello gli consegnò 55 milioni di lire. Era il prezzo fissato per il trasferimento di Ottavio Bugatti, portiere, dalla Spal al Napoli, estate del 1953.
Un altro tempo, un altro mondo. Alla radio la prosperosa vicentina Mammola Sandon, in arte Flo Sandon’s, cantava “El negro zumbòn”. Morì Stalin, morì Tazio Nuvolari. A 25 anni, Elisabetta divenne regina d’Inghilterra. A Cuba Castro portava avanti la sua rivoluzione. In Italia, non stavamo tanto male dopo esserci ristabiliti con gli aiuti del Piano Marshall. Andavamo verso il boom, più auto, più frigoriferi, più panettoni. Non c’era ancora l’Autostrada del Sole, a Roma venne inaugurato lo Stadio Olimpico.
Questo fu il 1953. Dopo tredici anni l’Inter (allenata da Alfredo Foni con Lorenzi, Ghezzi, Skoglund, Nyers) vinse lo scudetto, ci prese gusto e lo rivinse anche l’anno dopo sempre precedendo la Juve. Il Napoli, quando arrivò Bugatti, aveva concluso il campionato al quarto posto. Fu l’unico acquisto di Lauro, ma c’era una buona squadra con Jeppson e Amadei, Comaschi e Vinyei, allenata da Monzeglio. Il Comandante spadroneggiava sulla città, sindaco da un anno con 117 mila voti di preferenza. Nel rinnovato Rione Carità svettò un grattacielo e stavano per pioverci addosso 120 miliardi di lire della Legge speciale per Napoli.
La squadra giocava sulla collina del Vomero, la sede sociale era in un edificio, la Palazzina Rossa, su un angolo dello stadio. Fu davanti alla Palazzina Rossa che una mattina del luglio 1953 si fermò una spider amaranto e ne discese, in pantaloncini bianchi e camiciola nera aperta sul petto, il venticinquenne Ottavio Bugatti di media altezza. Pare che sulla spider ci fosse anche qualche bottiglia di cognac. Il mussoliniano, austero e gentiluomo tutto d’un pezzo Eraldo Monzeglio, apparso sull’ingresso della sede, cacciò un urlo di meraviglia, raccapriccio e disapprovazione. Alla dolorosa sorpresa di Monzeglio si aggiunse la sentenza micidiale di Lauro storpiando nomi e cognomi: “Gepsòn deve segnare tanti gol da rimediare a quelli che prenderà questo Bugatto”.
Il portiere si rivelò invece uno dei migliori mai visti tra i pali del Napoli, Premio Combi a Torino quale miglior portiere italiano prima di parare l’imparabile contro la Juventus, quel pomeriggio del 24 novembre 1957, in una delle rare partite vinte dal Napoli (3-1) sul campo bianconero.
Solo per l’inimitabile Nicolò Carosio, Bugatti giocò uno spezzone della finale viennese di Coppa dei campioni tra l’Inter (nel 1961 Bugatti era passato al club nerazzurro dopo Napoli) e il Real Madrid. Giuliano Sarti, colpito da una pallonata alla fine del primo tempo, sembrò non dovesse rientrare nella ripresa. A Carosio fu fornita la formazione del secondo tempo dell’Inter col cambio del portiere. Nicolò andò avanti con la radiocronaca parlando di Bugatti tra i pali nerazzurri, correggendosi dopo un bel po’. Si accorse che il cambio non c’era stato, Sarti era rientrato al suo posto.
Dalla Spal, nel campionato 1957-58, venne al Napoli il marchigiano di Porto Recanati Beniamino Di Giacomo, centravanti d’assalto, “il bersagliere”. Ci fu un litigio di maglie. Di Giacomo, che aveva giocato sempre centravanti, dovette prendere quella numero 11 di ala sinistra perché Vinicio era geloso della maglia numero 9. Parve una stagione felice. Il Napoli centrò un magnico quarto posto.
Le cose si complicarono l’anno successivo con l’arrivo del brasiliano Manuel Del Vecchio (dal Verona per 90 milioni). Nel Santos aveva dovuto cedere il posto al precoce Pelè. Venne in l’Italia. Elegante, gran tiro e gran colpitore di testa, suscettibile e rissoso. Vinicio non gradì l’arrivo del connazionale. L’attacco azzurro con Di Giacomo, Bertucco, Vinicio, Del Vecchio, Pesaola prometteva faville, ma la rivalità fra i due brasiliani frenò la squadra. Un altro litigio per il numero di maglia. Vinicio sempre geloso del numero 9 preteso da Del Vecchio che non accettò la maglia numero 11 (con Di Giacomo che prese il 7). Un putiferio, Vinicio conservò la sua maglia, Del Vecchio ripiegò sul numero 10. I litigi continuarono.
Lo spogliatoio azzurro era un inferno, spaccato in clan. Liquidati Vinicio e Pesaola da Amadei, la squadra retrocesse con questo attacco: Di Giacomo, Gratton, Pivatelli, Del Vecchio, Tacchi. I napoletani avevano sognato lo scudetto, il Napoli finì in B.
Dalla serie B, campionato 1961-62, cominciò Gianni Corelli, ferrarese, giunto dalla Spal. Mediano dal passo lungo, eccellente tiro dalla distanza (32 gol in 105 partite) e freddo rigorista. I suoi gol valsero la promozione in serie A e la conquista della Coppa Italia. In campionato fu decisivo in sei partite. All’ultima gara segnò a Verona l’1-0 (passaggio di Fraschini e gol di testa) che riportò il Napoli in serie A. Nella Coppa Italia, due gol decisivi. Sul campo della Roma (1- 0), che assicurò al Napoli il passaggio alle seminali, e il gol che aprì le marcature nella finalissima con la Spal (2-1), un crudele gol da ex. Celebratissimo per il gol dell’1-0 a San Siro contro il Milan che schierava Ghezzi, Trapattoni, Maldini, Radice, Altani, Rivera e l’ex azzurro Del Vecchio. La partita ebbe uno strascico. Forse gli azzurri presero troppa simpamina. Sette caddero nell’anti- doping, quattro squalicati per un mese: Pontel, Molino, Tomeazzi e Rivellino. Rimase valido il risultato sul campo.